A. Zaffonato: Le Alpi nelle testimonianze dei combattenti del primo conflitto mondiale

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Titel
In queste montagne altissime della Patria. Le Alpi nelle testimonianze dei combattenti del primo conflitto mondiale


Autor(en)
Zaffonato, Andrea
Erschienen
Milano 2017: Franco Angeli
Anzahl Seiten
322 S.
von
Stefano Morosini

Questo libro, pubblicato da FrancoAngeli in una collana di saggi sulla montagna realizzata in collaborazione con il Club Alpino Italiano (d’ora in avanti CAI), è il risultato del lavoro condotto dall’autore negli anni del suo dottorato di ricerca, conseguito nel 2016 presso l’Università degli Studi di Verona. Tale percorso è stato svolto sotto la guida di Alessandro Pastore, professore di Storia moderna e maggiore esponente in Italia di un nuovo corso di studi e ricerche scientifiche sulla storia politica e sociale dell’alpinismo sviluppatosi a livello internazionale a partire dagli anni 2000.

Nella sua parte introduttiva il volume analizza le caratteristiche del discorso patriottico veicolato dal CAI dalle sue origini (1863) e lungo il suo primo cinquantennio. Soprattutto dopo la scomparsa di Quintino Sella (1884) il CAI prese ad attestare con sempre maggiore insistenza il proprio ruolo nazionale nel presidio simbolico delle montagne di confine e nell’educazione civile e politica della gioventù. Per tutta conseguenza il sodalizio ben presto aderì alle istanze di tipo irredentista che miravano al completamento dell’unità nazionale mediante l’inclusione del Trentino e della Venezia Giulia, le due regioni dell’Impero austro-ungarico a prevalenza italofona che si caratterizzavano per la presenza di montagne importanti e di associazioni alpinistiche di chiara matrice filo-italiana, come la Società degli Alpinisti Tridentini (SAT, 1872) e la Società Alpina delle Giulie (SAG, 1883).

L’analisi dell’autore prosegue con la ricostruzione del ruolo avuto dal CAI nella breve ma fondamentale fase della neutralità italiana (agosto 1914-maggio 1915). In particolare, nel settembre del 1914 il sodalizio fu tra le prime realtà istituzionali italiane a prendere apertamente e pubblicamente posizione a favore dell’entrata nel primo conflitto mondiale. Nei mesi successivi l’adesione ideale e politica alle istanze dell’interventismo proseguì, e dopo il 24 maggio 1915 il CAI espresse una convinta e diretta partecipazione istituzionale a supporto del conflitto, che come noto fu combattuto lungo un fronte ampiamente collocato in
aree di media e alta montagna.

Allo svolgersi della guerra e alle molteplici conseguenze che il combattere in montagna ebbe sui soldati è dedicato il corpus centrale dell’opera. L’autore analizza qui gli epistolari, i diari e le memorie di chi visse quelle vicende, rilevando come l’osservazione della realtà esterna sia variata sensibilmente in base a fattori tipologici come la posizione sociale, il livello di istruzione, il bagaglio culturale, il luogo geografico di provenienza e le esperienze pregresse, oppure in base a fattori contingenti, come le condizioni materiali del luogo di combattimento (altitudine, stagione, tempo meteorologico), gli incarichi militari assegnati, l’intensità dei combattimenti e il grado di pericolosità reale o percepita.

Sono dapprima posti in esame gli scritti di chi prese parte al conflitto da una elevata condizione socio-culturale. Fra questi, molti furono gli alpinisti e i soci del CAI che combatterono – soprattutto nel corpo degli alpini – in qualità di ufficiali di carriera o di complemento. La loro convinta adesione alla guerra derivava in gran parte da convinzioni patriottiche che venivano poste in continuità con l’esperienza culturale e politica del Risorgimento: accanto ai rimandi politiconazionali emergono sovente gli stereotipi legati al sublime e al pittoresco alpino e ad un uso artificioso di superlativi.

Segue poi una più interessante e originale analisi sulla rappresentazione della montagna da parte di coloro i quali (loro malgrado) combatterono in qualità di soldati semplici. In questa parte della ricerca l’autore conduce un’indagine nell’animo della «gente comune» (per evocare gli studi di Antonio Gibelli), che sostanzialmente non conosceva le finalità della partecipazione italiana al conflitto e non aderiva alle istanze politiche e ideologiche che lo avevano determinato. Come tale la loro percezione non era filtrata da sovrastrutture culturali o politiche e rifletteva sensazioni ed emozioni, stati fisiologici e mentali talora sfuggenti e talora cangianti. Se da un punto di vista formale le scritture popolari si caratterizzano in molti casi per un impianto sintattico e morfologico semplificato e sovente improprio, con frequenti errori ortografici o ipercorrettismi, da un punto di vista sostanziale la visione dei paesaggi montani riflette in modo più immediato e autentico gli sconvolgimenti fisici e i traumi mentali che conseguirono l’impatto con un ambiente fortemente ostile. Emerge così un retroterra fatto di esperienze imprevedibili e contraddittorie, continuamente rinegoziate a livello individuale e segnate dalla paura e dalla profonda impressione per l’altezza vertiginosa delle montagne, per la fatica dell’ascesa, per l’orrore per il vuoto, per il freddo, la neve, per le condizioni climatiche estreme, per lo sradicamento e lo smarrimento dettato dalla scarsa o nulla consapevolezza dei caratteri ambientali dei luoghi dove si trovavano a combattere.

A molti contadini, abituati a valutare il terreno in termini di produttività agricola, gli sforzi terribili per presidiare e conquistare al nemico nude rocce, pietraie sterili, ambienti glaciali o coperti per molti mesi all’anno dalla neve apparivano totalmente insensati: per essi le uniche dimensioni affettive e cognitive dotate di senso rimasero limitate a quella rassicurante del borgo natale e a quella salvifica della fede religiosa. Nelle missive si può sovente constatare come mancasse un vero consenso emotivo nei confronti della causa italiana; ritenuta dall’a. un’«operazione politica del tutto estranea agli orizzonti dei ceti operai e contadini» (p. 197). La vulgata secondo cui il conflitto, anche per mezzo delle narrazioni eroiche incentrate sull’epopea della “guerra bianca”, contribuì in modo decisivo alla costruzione di un diffuso senso di identità nazionale, si scontra con le critiche indignate e sprezzanti ai reportages pubblicati sui grandi quotidiani dell’epoca. Gli scritti di inviati embedded come Luigi Barzini o Arnaldo Fraccaroli (Il Corriere della Sera), Mario Mariani (Il Secolo), Luigi Ambrosini (La Stampa) «minarono – fino a smantellarlo dalle fondamenta – il rapporto fiduciario tra i soldati di rango medio-basso, gli alti comandi militari e le autorità governative», provocando «un effetto straniante, facendo apparire naturale ciò che non lo era: l’alta tensione estetica delle descrizioni paesaggistiche e la celebrazione fuori misura delle prodezze dei combattenti […] finirono per esacerbare gli animi dei soldati nauseati dai connotati macchiettistici di quei resoconti» (p. 269).

In conclusione, una nota complessiva sul metodo di lavoro dell’a., nota che vorrebbe soprattutto esprimere un incoraggiamento a riprendere, proseguire e approfondire questo filone di ricerca. Sulla scorta di quanto l’a. ha meritoriamente svolto, l’indagine potrebbe ora proseguire con un’analisi comparativa della storiografia, della memorialistica e della documentazione in lingua tedesca redatta da chi combatté su quelle stesse montagne nelle fila dell’esercito austro-ungarico (e in misura minore in quello tedesco).

Zitierweise:
Morosini, Stefano: Rezension zu: Zaffonato, Andrea: “In queste montagne altissime della Patria”. Le Alpi nelle testimonianze dei combattenti del primo conflitto mondiale, Milano 2017. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 165, pagine 154-155.

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Zuerst veröffentlicht in

Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 165, pagine 154-155.

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